GUERRA
di Massimo Nava

Massimo Nava
“Si vis pacem, para bellum”, sarà vero?
Lunedì 14 luglio scorso Massimo Nava, storico giornalista del ‘Corriere
della Sera’, pubblicava sull’edizione on-line questo importante scritto. Gli ho
chiesto di poterlo ospitare su ‘Odissea’ per i nostri lettori. Lo ringrazio
sentitamente per la disponibilità e la delicata sensibilità. [a. g.]
Ma davvero se si vuole la pace bisogna prepararsi alla guerra?
Ma
davvero è necessario il riarmo per prevenire aggressioni e conflitti? Ma
davvero la massima latina «si vis pacem, para bellum» avrebbe un
attualissimo significato politico che incoraggia la deterrenza? Di certo,
la massima latina è molto in voga e da più di un secolo molto citata dai
politici e da qualche militare. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la
presidente del consiglio Giorgia Meloni, quando in Parlamento ha così
motivato la necessità di aumentare il budget della difesa secondo le
indicazioni approvate all’ultimo vertice Nato.
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Massimo Nava |
Ma le cose stanno davvero così? E l’interpretazione è davvero corretta? Cominciamo con verificare che
le origini sono di incerta attribuzione. Secondo l’Enciclopedia Treccani, trova
la sua prima formulazione nel prologo del terzo libro della «Epitoma rei
militaris» di Vegezio, compendio composto tra la fine del IV e
l’inizio del V secolo. Nello specifico, Vegezio scriveva «Igitur qui
desiderat pacem, praeparet bellum», che tradotta letteralmente significa:
«Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra». Concetto espresso anche da
Cornelio Nepote, storico del I secolo avanti Cristo e da Cicerone: «Si pace
frui volumus, bellum gerendum est». In pratica «Se vogliamo godere della
pace, bisogna fare la guerra». L’interpretazione sembrerebbe tuttavia più
in linea che la filosofia e la politica dell’impero romano che non con un
concetto di deterrenza: fare la guerra, conquistare territori,
sottomettere popoli sono azioni funzionali alla conquista e al mantenimento
della pace. Rendendo appunto schiavi e sottomessi gli altri.

Bonaparte
Filosofia
messa in pratica anche da Napoleone che di fatto rovesciò la
sentenza: fare la pace (a quel tempo con la Russia) per poi fare la guerra
(alla Russia). Come scrisse il suo ex compagno all’Accademia militare, Louis
Antoine Fauvelet de Bourrienne, nelle sue Memorie: «Si Bonaparte eût parlé
latin, il en aurait, lui, renversé le sens, et aurait dit: Si vis bellum para
pacem». «Se Bonaparte avesse parlato latino, avrebbe detto: se vuoi
la guerra prepara la pace».
La
massima latina ispirò (tra lo zar Nicola II e il presidente francese Félix
Faure) l’alleanza franco russa alla fine dell’Ottocento, in
funzione antitedesca. Ma questa formidabile azione di «deterrenza» non
evitò lo scoppio della prima guerra mondiale.
La
massima andrebbe anche relazionata con Tacito e alla famosa
sentenza che oggi richiama l’Ucraina e Gaza: «Dove hanno fatto un deserto
l’hanno chiamato pace». In un certo senso anche l’attacco all’Iran
entrerebbe in questa «casistica», un attacco preventivo per evitare guai
peggiori. Nella stessa logica, dovremmo però chiederci perché l’Iran non
dovrebbe a questo punto dotarsi davvero della bomba, avendo come nemico appunto
una potenza nucleare come Israele. Gli storici e i politici attuali dovrebbero
anche spiegare come e perché gli Stati europei dopo essersi combattuti per
secoli in devastanti guerre di conquista e aggressione si siano garantiti settant’anni
di pace non con la deterrenza armata ma aprendo i confini agli uomini e alle
merci.
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Bonaparte |

Gandhi
Forse
qualche riflessione andrebbe fatta a proposito di quei leader e pensatori, in
testa Gandhi, che sostennero esattamente il contrario: la guerra si
evita preparando e favorendo con ogni mezzo la pace. Questo è del resto
lo spirito della Carta dell’Onu e persino del Trattato della Nato, spirito in
parte abbandonato, dimenticato e distorto. È un fatto che secondo l’Istituto
svedese Sipri le spese militari mondiali hanno raggiunto nel 2024
il loro massimo storico (oltre 2.700 miliardi), mentre oggi nel
mondo sono attivi 56 conflitti armati che coinvolgono più di 92 Paesi, il
numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una conferma che
«prepararsi alle guerra», non solo distoglie risorse economiche dai bilanci
degli Stati, ma non porta alla pace. Papa Leone XIV, riprendendo i
continui appelli alla pace del suo predecessore ha detto: «Non dobbiamo
abituarci alla guerra, anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino
degli armamenti potenti e sofisticati».


Fabio Mini
Il
generale Fabio Mini, ex generale di corpo d’armata con una lunga esperienza in
missioni internazionali, ha addirittura sostenuto che «secondo alcuni
storici quella frase non è nemmeno mai stata pronunciata nell’antichità. Oggi
la vera deterrenza passa per la qualità dei rapporti tra le nazioni. Senza
riconoscimento reciproco non può esserci diplomazia, e senza diplomazia non può
esserci pace». Di fatto, a partire dagli anni Novanta «abbiamo assistito
a un’accelerazione bellica travestita da “guerre umanitarie”».
Nei
suoi primi mesi di mandato, il presidente americano Donald Trump ha
messo in campo un attacco ad ampio raggio contro un principio consolidato del
diritto internazionale: quello che vieta agli Stati di minacciare o usare la
forza militare contro altri Stati. Principio peraltro infranto drammaticamente
dal presidente russo Putin.
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Fabio Mini |
La
Carta delle Nazioni Unite del 1945 vieta di «ricorrere alla
minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale o l'indipendenza
politica di un altro Stato». Ma oggi si fa strada una pratica opposta:
ripristinare la guerra o la minaccia della guerra come principale mezzo con cui
gli Stati risolvono le loro controversie e cercano di ottenere vantaggi
economici. Come hanno scritto gli analisti di Foreign Affairs, «se non
controllata, l’erosione del divieto dell’uso della forza riporterà la
geopolitica a una cruda contesa di potere militare. Le conseguenze saranno
gravi: una corsa globale agli armamenti, nuove guerre di conquista, contrazione
del commercio e il crollo della cooperazione necessaria per affrontare le
minacce globali comuni».
Il
rischio è quindi il ritorno a un’epoca in cui gli Stati potenti ricorrevano
liberamente alla guerra per far valere le loro rivendicazioni, mentre gli Stati
più deboli erano costretti a sottomettersi o rischiare l'annientamento, dando
luogo a un susseguirsi quasi costante di conflitti. «Le varie salve
retoriche e i cambiamenti di politica di Trump possono sembrare caotici. Ma
fanno tutti parte - secondo Foreign Affairs - di un tentativo
più ampio di smantellare l’ordine giuridico del dopoguerra. Quando è stata
fondata l’Onu, cinque paesi potenti - Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno
Unito e Stati Uniti - si sono attribuiti una posizione privilegiata come membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza con il potere di
veto su qualsiasi azione di enforcement. Queste lacune hanno delegittimato l’ordine
giuridico che proibisce l'uso della forza, in particolare agli occhi degli
Stati del Sud del mondo. Riconoscere le debolezze dell’ordine giuridico
postbellico e il frequente fallimento dei suoi difensori nel rispettare i
propri ideali è un primo passo fondamentale verso la creazione di un ordine
giuridico più solido. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui
tutti i 193 Stati membri hanno pari diritto di voto, dovrebbe svolgere un ruolo
di primo piano. Attualmente questo organo non ha i poteri esecutivi del
Consiglio di Sicurezza, ma in quanto organo responsabile del mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali, può esercitare un maggiore potere per
far rispettare il divieto di ricorso alla forza sancito dalla Carta. Proprio
come i politici degli anni ’40 cercarono di stabilire una pace duratura dal
caos della guerra, i leader di oggi devono progettare istituzioni,
alleanze e strategie per garantire la pace, piuttosto che stare a guardare
mentre Trump torna indietro nel tempo».
Si
tratta insomma di ritornare ai fondamentali, alla diplomazia, alla
politica, anziché inseguire la folle illusione che aumentare la propria forza
serva a difendersi meglio dalla forza altrui. Salvo decidere di distruggersi
reciprocamente.
https://www.corriere.it/il-punto/la-rassegna/25_luglio_14/la-psicologia-dei-miliardari-preparare-la-pace-militarismo-di-ritorno-sinner-e-le-tenniste.shtml