UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 1 giugno 2025

NOVITÀ IN LIBRERIA
di Elena Lanterio


 
A oltre 80 anni dalla sua morte (22 novembre 1941), sono ormai rimaste ben poche persone che possano vantarsi di aver conosciuto don Gervasini, prete guaritore, eppure la sua figura è tuttora ben presente nella memoria collettiva dei Milanesi - e non solo - e la sua tomba, al cimitero Monumentale, continua a essere una delle più visitate («la macchia più colorata dell’intero camposanto» come ha scritto Gianni Santucci sul “Corriere della Sera”). El pret de Ratanà ha chiaramente lasciato un segno tuttora ben vivo nella storia di Milano di un secolo fa e la fantasia popolare lo ha col tempo consegnato alla leggenda. Proprio per diradare i fumi della leggenda, Valentino De Carlo sceglie di descrivere don Giuseppe Gervasini nel suo tempo storico - tra Otto e Novecento - e nel suo ambiente reale, tra personaggi conosciuti e spesso da lui frequentati. E la sua storia non si impoverisce per questo, ma ne guadagna. Una biografia documentatissima, corredata da un ricco apparato iconografico, che è anche e soprattutto il racconto di una Milano in gran parte scomparsa, che merita di essere riscoperta.


Arricchiscono il volume 
preziosi contributi di
Angelo Gaccione
Roberto Marelli
Gianni Santucci
 
«Un giorno, parlando con un amico e collega milanese, - scrive Valentino De Carlo nella prefazione - il discorso cade quasi per caso sul cosiddetto pret de Ratanà: Lo conosci?”. L’amico, anche buon conferenziere, non si fa pregare a rispondermi: Era un personaggio in bilico fra l’odore di eresia e l’odore di santità, ma nella realtà quotidiana un prete che prete si sentiva fino alle midolla e questo voleva fare. La famiglia di mia moglie sul versante materno quando aveva qualche problema non andava dal dottore ma da lui, che sempre maltrattava e talvolta guariva (e talvolta no). Comunque non chiedeva niente, le offerte spontanee non le respingeva ma non le destinava certo a sé stesso. Una figura che merita di essere esplorata meglio nel contesto della Milano di allora, magari anche dal punto di vista del paziente di allora e dei suoi sospettosi rapporti verso i professori della medicina…”».


Valentino De Carlo 
El pret de Ratanà
Meravigli Edizioni 2025
Pagg. 192 € 19,00


Il volume è disponibile presso
le migliori Librerie indipendenti
Libreria Hoepli
Libreria Milanese Il Domani
Libreria Fiera del Libro
Librerie Feltrinelli & Libraccio

TUTTO È ARTE, NIENTE È PIÙ ARTE
di Alida Airaghi


Jean Baudrillard
 
Il complotto dell’arte, raccolta di saggi che Jean Baudrillard scrisse negli anni ’90 del secolo scorso, ha provocato per più di un decennio roventi polemiche tra critici, artisti e appassionati per il tono irrisorio e requisitorio con cui il sociologo francese metteva alla berlina la produzione pittorica del ventesimo secolo. “Tutto il movimento della pittura ha rinunciato al futuro e si è volto al passato. Citazione, simulazione, riappropriazione… l’arte attuale si limita a riappropriarsi in modo più o meno ludico, o più o meno kitsch, di tutte le forme e le opere del passato, vicino o lontano, o addirittura già contemporaneo”. Gli strali feroci di Baudrillard sono rivolti non solo all’arte figurativa, ma anche al cinema: “un’orgia di mezzi e di sforzi impiegati a squalificare il film con un eccesso di virtuosismo, di effetti speciali, di cliché megalomani… Più ci si avvicina alla definizione assoluta, alla perfezione realistica dell’immagine, più si perde la forza di illusione”. Ecco la grande assente dal panorama artistico contemporaneo: l’illusione, e con essa l’incanto, l’immaginazione, il desiderio, l’enigma. Ogni tipo di espressione artistica sembra tesa al “metalinguaggio della banalità”, a parlare e a straparlare di se stessa, snobbando il mondo reale, nell’idolatria dell’apparenza e dell’artificialità. “Oggi, tutte le cose vogliono manifestarsi. Gli oggetti tecnici, industriali, mediatici, gli artefatti di ogni specie vogliono significare, essere visti, essere letti, essere registrati, essere fotografati… Oggetti feticci, senza significato, senza valore, specchio del nostro radicale disincanto del mondo”.



Baudrillard osserva che a partire da Duchamp, per arrivare a Warhol e a Koons, ci siamo tutti (artisti, critici, pubblico) resi complici di questa derealizzazione dell’arte, diventata oggetto di consumo prestigioso, come qualsiasi altro affare commerciale: “Tutta la duplicità dell’arte contemporanea sta proprio in questo: rivendicare la nullità, l’insignificanza, il nonsenso, mirare alla nullità essendo già nulla. Mirare al nonsenso essendo già insignificante. Aspirare alla superficialità in termini superficiali”. A questo punto, l’arte diventa inutile, riciclata, non smuove più niente, se non interessi commerciali e finanziari, finendo per produrre gadget estetici funzionali solo al cattivo gusto universale. Già in altri saggi tradotti in Italia (La sparizione dell’arte, L’agonia del potere), Jean Baudrillard si era espresso negli stessi termini, scagliandosi con indignazione contro la subdola prevaricazione del controllo, della dissuasione, della neutralizzazione, esercitata in primo luogo dai media, che ci riducono a diventare “dei riciclati, degli zombi”, affascinati dalla visibilità ubiqua, dalla trasparenza immediata, dal Grande Fratello internazionale che trasforma la realtà in un reality totalizzante e totalitario. “Si pretende che la grande impresa dell’Occidente sia quella della mercantilizzazione del mondo, di aver abbandonato tutto al destino della merce. È vero, ma bisogna vedere come la grande impresa dell’Occidente sarà stata piuttosto quella dell’estetizzazione del mondo, della sua messa in scena cosmopolita, della sua messa in immagine, della sua organizzazione semiologica… Tutto, anche il più insignificante, il più marginale, il più osceno, si culturalizza, si museifica, si estetizza”, trasformando persino la tragedia della sofferenza in spettacolarità virtuale. Se tutto è per tutti simultaneamente politico, sessuale ed estetico, ecco che non esiste più politica come mediazione, sesso come amore e piacere, arte come bellezza. Non esiste più avanguardia perché non c’è nulla da anticipare, né informazione obiettiva poiché ogni avvenimento si trasforma in spettacolo, non produzione ma solo ri-produzione. Qualsiasi espressione supera sé stessa, arriva all’oltre, al “trans” e al “post”.



L’arte e la critica dell’arte sono scomparse proliferando i loro segni all’infinito, riciclando forme passate e attuali, eliminando qualsiasi criterio di giudizio: tutto è arte, quindi niente è più arte. Ogni cosa prodotta viene utilizzata, sfruttata, sacralizzata nell’arte. Non solo nei musei e nelle gallerie, nei luoghi deputati della cultura: ma ovunque, nelle strade, sui muri, nella banalità degli oggetti più comuni. Assistiamo a “una proliferazione di segni all’infinito, riciclaggio all’infinito di forme passate o attuali (il grado Xerox della cultura), ma dove non esiste più alcuna regola fondamentale, alcun criterio di giudizio, alcun piacere”. Baudrillard (1929-2007) ha avuto il coraggio di sottolineare il paradosso cui assistiamo da anni: a un sostanziale immobilismo, all’inerzia, alla mancanza di ispirazione, profondità e originalità di chi opera artisticamente, corrisponde una frenesia produttiva, un movimento convulsivo e proliferante dei prodotti artistici, nella nostra era “del simulacro e della simulazione”, delle fake news imperanti, in cui il vero non si distingue più dal falso, e il veicolo del messaggio diventa più importante del contenuto.



Forse il simbolo più rappresentativo di questa nuova funzione dell’arte è stato Andy Warhol: “Warhol non appartiene alla storia dell’arte. Appartiene al mondo, molto semplicemente. Non lo rappresenta, ne è un frammento, un frammento allo stato puro. Ecco perché, visto nella prospettiva dell’arte, egli può essere deludente. Visto come rifrazione del nostro mondo, è di un’evidenza perfetta”.
L’arte, perduta la sua autonomia creativa, si definirà come pura tecnica, industria, artigianato rituale, o sparirà del tutto: “non sarà stata che una parentesi, una sorta di lusso effimero della specie”.
Se nella mistificazione orgiastica di ciò che appare finisce per sparire la realtà, forse l’unica possibilità di salvezza consisterà nel tornare all’evidenza del mondo, alla sua concretezza.
Il pungente e provocatorio piccolo volume edito da SE si conclude con due interviste all’autore e con un saggio di Sylvère Lotringer.


 
Jean Baudrillard 
Il complotto dell’arte
Ed. SE 2020 - pp. 84

SCAFFALI
di Anna Rutigliano
 

Città come recupero di un tempo interiore indelebile e irripetibile.
 
Zurigo, Catania, Torino, Senigallia, Salerno… spirando in lungo e in largo del Bel Paese, è il vento della memoria e del ricordo a trasportare la gondola aerostatica di Città e Scrittori composta da ben 36 autori (Di Felice Edizioni 2025, pagg.176), la nuova antologia curata da Angelo Gaccione, nelle peregrinazioni dell’anima del suo equipaggio. Cartografie emotive prima ancora che vere e proprie mappe turistiche, di interesse storico-architettonico per i più curiosi visitatori, percorribili persino in bicicletta per i più ecologisti, i luoghi in questione, si alternano fra borghi rurali, adagiati fra monti di natura lavica e colline verdeggianti, quasi a contemplare un paesaggio incontaminato e diffidente della modernità e città industrializzate, pur con il loro aspetto regale ed elegante. Luoghi di resistenza partigiana e di lotte operaie, un tempo capitali dell’Illuminismo, in contrapposizione a città mercificate e ai non-luoghi, dalle cupe geometrie in acciaio, dove all’occhio interiore dello scrittore non sfugge il processo di cancellazione di ogni traccia di memoria operato dalla cementificazione edilizia, resiliente, tuttavia, nei meandri dell’immaginazione, attraverso sogni barocchi, preghiere poetiche e preziosi sedimenti di granelli di minerali e cristalli. E ancora cortili, cuore e motore della vita contadina, quali spazi di riunioni familiari, spiragli di luce e speranza, di libertà. Paesi e città natali in cui ritrovare pace e spiritualità, dagli odori gastronomici inconfondibili, ma anche terre lasciate per necessità di studio o per lavoro, verso un altrove apparentemente migliore e accogliente, ma mai luoghi traditi, che rivivono nei ricordi e negli echi di storie. A completare la mappatura emotiva svettano fiere e nostalgiche le città marittime, dalle spiagge di fine sabbia di velluto, che furono un tempo testimoni di passeggiate meditative e di primi amori adolescenziali, con il mare segretamente in ascolto. Se il milieu di matrice zoliana, letteralmente il luogo di mezzo, è fattore determinante del destino identitario di ciascun individuo, ogni città di questa antologia è, per gli scrittori che vi sono nati, mezzo di riflessione, sul rapporto unico con la propria terra d’origine, per alcuni versi, dai toni ironici di critica socio-economica, per altri, come riconciliazione con sé stessi e di recupero di un tempo interiore indelebile e irripetibile.

SPIGOLATURE DOMENICALI
di Luigi Mazzella

 
Spigolature lievi in una domenica di primavera.
  
Non sempre l’inganno viene raggiunto con il falso. Anche il vero può servire alla scopo. Faccio degli esempi: l’invecchiamento. Se ricordo il detto di Solone: Più invecchio, più imparo! devo rilevare, in termini generali, la sua ineccepibilità. Al tempo stesso mi corre l’obbligo di sottolinearne la sua ambiguità e ambivalenza con la domanda ulteriore: più imparo, ma che cosa? Faccio un esempio personale. Se da laico vedo che un vecchio miscredente impara un catechismo religioso, non darei, in termini (ovviamente) solo specifici e individuali, un giudizio positivo  di un tale apprendimento. Altri, invece, sì, per ragioni opposte alle mie.
L’oratoria.
Lo stesso è da dirsi per ciò che si può affermare in favore di  un brillante oratore. Di fronte a gente che ha un eloquio forbito e che  sa usare parole dal suono piacevole e accattivante, la domanda è: ma per dire cosa? A volte quel lessico esprime concetti anche turpi, tende a sollecitare istinti perversi, eccita la cattiveria umana e sospinge verso azioni malvage. E allora? C’è un proverbio (forse solo soprattutto) sui preti che esprime bene questa idea: predicano bene ma razzolano male! Altre volte, invece, quelle parole alate sono il giusto veicolo di concetti nobili e superiori. La scrittura. Si elogia, comunemente un elegante e raffinato scrittore (saggista, narratore, giornalista o poeta che sia). Di lui e di tanta gente si può dire che “scrive bene”, ma di quanti, in una tale moltitudine di scrittori possiamo dire che esprimono pensieri ragguardevoli, sul piano logico e razionale? Se fossero veramente tanti, le “male lingue” (come la mia) si guarderebbero bene dal dire che in Occidente, a parte poche eccezioni, è stato costruito un castello immenso di parole che soddisfa gli emotivi e i passionali per vocazione e gli eruditi,   ma non i colti e i razionali che non vi scorgono “cultura” nel senso profondo del termine. Conclusione: invecchiare, imparando; parlare bene;  scrivere meglio… la domanda è sempre quella: per quale risultato?

DUE POESIE



 
Appunti incompiuti di viaggio di Giovanni Borroni
 
Giovanni ci ha lasciato nel marzo del 2025 dopo fulminea malattia. Quando lessi per la prima volta queste poesie mi parvero il lascito disincantato di un uomo ironico incamminato verso la vecchiaia. Alla luce di quanto accaduto a marzo questo libro postumo ha preso le sembianze di un testamento e, ai miei occhi, ogni verso pare un consapevole e sereno addio. Ma noi sappiamo che non era questa la sua intenzione; Giovanni non poteva immaginare quello che sarebbe successo, sono le parole ora ad avere acquisito un senso differente. Forse è questo il mistero della vera poesia, delle parole destinate a sopravviverci. [Giuseppe Airaghi]
 
 
“Se la vita non ci sa stupire, forse non la stiamo davvero vivendo. Non serve inseguire imprese o eroismi per farlo, se non ce ne siamo costretti, per fare di essa un’avventura e ogni attimo l’occasione per coglierne la complessità e, tuttavia, la sua naturalezza. È proprio quest’ultima caratteristica, che si può cogliere solo quando non se ne faccia un feticcio metafisico, che la rende così significativa. I nostri miti, i nostri sogni, la vita possono colorarla e farcela godere anche senza snaturarla e farne un idolo da custodire o venerare, servire o temere, ma mai davvero e semplicemente partecipare. Noi ne siamo manifestazione transitoria e locale, siamo parte di lei e del suo divenire universale, come lei stessa, e non viceversa: lei come virtù donataci come fossimo entità al di fuori del tutto e fatti di una sostanza estranea ad esso, che senza di lei non esisteremmo né mai esistemmo… Gli appunti di viaggio che seguono sono allora solo il diario intimo di un gioco ogni volta reinventato e profondamente sperimentato”. Giovanni Borroni
 
 
Penultime volontà
 
Figlio, ciò che ti lascio è quello che non so
e l’ansia di sapere quello che c’è più in là;
la mia certezza è il dubbio, la soglia del futuro
tu chiamala ignoranza, io curiosità.
 
Figlio, ti lascio quello che io non ho saputo
fare o disfare, un po’ anche per viltà
ma senza rinnegare ciò che sentivo vero
solo per non sentirmi in colpa o vanità.
 
Figlio, ti lascio quello che so d’aver sbagliato,
ma sappi che l’ho fatto senza disonestà;
ti restano i miei limiti, ora, da superare:
non te ne vergognare ed abbine pietà.
 
Figlio, ti avessi avuto, questa sarebbe stata,
senza pudori o debiti, la mia eredità
ma dato che non sei stato, altro che un’idea
darò questo mio lascito a chiunque lo vorrà.
 
 
Io e la vita
 
La vita è una puttana dispettosa
che mi graffia di continuo il volto
e mi sporca i capelli e mi lascia
le sue ciprie, le sue polveri di gesso.
Sospetto che lentamente mi avveleni,
mi fa sgambetti e quindi mi schernisce,
promette mille volte e poi mi inganna,
mi alletta, si fa inseguire e scappa via.
Però confesso, ho le mie colpe anch’io
l’ho sempre usata e spesso maltrattata;
l’ho mal pagata e a lungo l’ho venduta
ed ho sfruttato di lei quel che ho potuto.
Quindi credo che il bilancio chiuda in pari
e dunque continuiamo a frequentarci
senza rimpiangere di trovarci ogni mattina
a chiederci oggi a che gioco giocheremo.
 
 


Giovanni Borroni
Appunti incompiuti di viaggio 
ChiareVoci Edizioni 2025
Pagine 99 - € 12.00   

A TUTTO IL DOLORE...
di Laura Margherita Volante 


 
A tutto il dolore patito
nulla 
può dare consolazione. 
Sono l’indifferenza e 
l’ingratitudine a radere
ogni sentire.
Sono la mancanza e mai  
l’attenzione a stupirne 
l’anima, 
al respiro della nuvola nera
e non la rugiada.
Con tutto il dolore patito 
nulla consola...
Non c’è il figlio e neppure
l’amico presi dai rovi di more e 
non di mirto...
con lo sguardo a terra
si perdono
nei trifogli e le ortiche.
Con tutto il dolore patito
nulla consola
neppure l’amore che
danza... 
un ballo in maschera.

 

CORSO CONCORDIA
Artisti e Poeti in strada




COOPERATIVA LA LIBERAZIONE




sabato 31 maggio 2025

ALTA VELOCITÀ. IDRA SCRIVE AL PRESIDENTE 

   

L’Associazione di volontariato Idra scrive al presidente della Commissione Urbanistica di Palazzo Vecchio.
 
Gentile Presidente, Le scriviamo per informarLa di alcune circostanze che forse sfuggono”. Così Idra a Renzo Pampaloni, che presiede a Palazzo Vecchio la Terza Commissione “Territorio, urbanistica, infrastrutture, patrimonio”.
Da una sua nota-stampa del 6 aprile si apprendeva infatti, dopo un riferimento ai “due tunnel sotterranei in fase di realizzazione mediante l’utilizzo di particolari frese”, che “è stato spiegato ai consiglieri” che “il terreno rimosso viene trasportato direttamente a Cavriglia tramite convogli ferroviari”. In realtà, osserva Idra, le terre dei tunnel non arrivano più a Cavriglia, e a scriverlo è la presidente dell’Osservatorio ambientale di Santa Barbara istituito dal Ministero per seguire l’attuazione del progetto di riambientalizzazione nella ex area mineraria. Le terre scavate dalle supertalpe Iris e Marika non possono più arrivare in Valdarno a causa dei tempi di asciugatura superiori alle previsioni.  Una circostanza che determina la saturazione della superficie di deposito delle piazzole, che ha portato al conferimento di circa 105.000 tonnellate di sottosuolo fiorentino presso impianti di gestione rifiuti autorizzati. “Quali fonti ha utilizzato la Commissione per ottenere le informazioni da Lei pubblicate sul portale del Comune di Firenze?”, chiede quindi Idra al presidente Pampaloni. E ancora, in un comunicato di pochi giorni fa, si legge che “è emersa l’opportunità di creare dei tavoli lavoro tematici per definire tutte le opere complementari del passante Alta Velocità: non solo la modalità per unire la nuova stazione con Santa Maria Novella ma anche la realizzazione della stazione Circondaria e del sistema di accessibilità alla nuova stazione”, in quanto “aspetti fondamentali per disegnare il ruolo della stazione all’interno della città anche da un punto di vista urbanistico”. Alla buon’ora! Idra segnala infatti al presidente che un’informativa sul ‘tavolo tecnico con Regione Toscana e Comune di Firenze per le sistemazioni esterne alla Stazione’ è stata già all’ordine del giorno di un incontro fra Rfi e l’Associazione ecologista calendarizzato ad aprile 2023. Da allora, tutti i successivi incontri di Idra con Rfi hanno dato come esito la notizia del perdurante stallo di quel ‘tavolo tecnico’. “Appare dunque evidente come già due anni fa si avesse la netta percezione di quanto sia delicato e critico l’impatto urbanistico della bizzarra ubicazione della stazione AV in via Circondaria accanto al torrente Mugnone”, osserva l’Associazione. “Adesso è anche ufficiale: non si è venuti a capo di alcun modello di soluzione. I lavori sono proseguiti nell’apparente indifferenza deli soggetti pubblici responsabili della tutela del territorio e della città, Amministrazione Comunale in primis”. 
Le inesattezze sul piano informativo e i ritardi su quello operativo che paiono contraddistinguere l’azione di Palazzo Vecchio nella gestione di un’opera così rilevante, lunga e costosa portano quindi Idra a chiedere esplicitamente al dott. Pampaloni se non ritenga anch’egli che rischino di descrivere “una condizione di pericolosa spensierata superficialità”. Infine, un richiamo alle tante richieste di audizione trasmesse alla Commissione dal luglio 2023 all’ottobre 2024, rimaste senza riscontro: “Abbiamo anticipato i temi e la documentazione delle criticità e delle apparenti illegittimità rilevate monitorando l’attuazione del progetto Alta Velocità: continuiamo a ritenere utile sottoporle alla Vostra attenzione”.

  

VERITÀ VO’ CERCANDO…
di Luigi Mazzella
 
 
Nell’Occidente dei cinque irrazionalismi e nella sua appendice mediorientale (culturalmente omogenea, soprattutto sotto l’aspetto religioso) il denaro, vero Dio unico di una popolazione sempre più scontenta e in progressiva inquietudine esistenziale, serve ad alimentare l’odio reciproco e guerre, permanenti e “senza quartiere”, dichiarate formalmente o realizzate contro il cosiddetto diritto internazionale (caduto ormai in sostanziale desuetudine) tra fideisti e fanatici dell’assolutismo religioso o politico (che non può conoscere, per sua natura, dialogo e accordi di sorta). Da preteso faro della civiltà mondiale, la parte ovest del Pianeta è diventata, nel corso di venti secoli, la sede della  aggressività e della violenza, oltre che dell’ipocrisia più smodata che, attraverso il possesso e il controllo finanziario e politico del sistema informativo si avvale di una propaganda oltraggiosa che sovverte a suo piacimento la portata di eventi, prodotti, come diceva Craxi, da “manine misteriose” (che restano perennemente sconosciute). Di sicuro, in Occidente, v’è solo la constatazione degli effetti successivi a una data e misteriosamente provocata catastrofe: Guantanamo (e ciò che vi è connesso sul piano della reintroduzione della tortura) rappresenta  la conseguenza visibile dell’attacco alle Torri Gemelle; la distruzione presso che totale di Gaza e della popolazione palestinese costituisce l’effetto sproporzionato del bombardamento di Tel Aviv contro i militanti di Hamas. Quando non si riesce a condizionare la produzione dell’evento, la propaganda interviene per dare al “popolo bue” una certa (e per i propri interesse, utile) visione e così il soccorso in favore di minoritarie popolazioni massacrate dalla violenza di miliziani neo-nazisti Ucraini diventa invasione di un territorio altrui per fini espansionistici ed imperialistici. E ciò, nonostante che la Storia dei rapporti di quel Paese (liberato dall’Armata Rossa nel 1944) con il Nazismo rimonti al 1941, quando il suo territorio fu occupato dai tedeschi e sottoposto a politiche naziste, inclusi un diffuso proselitismo ideologico e la persecuzione degli ebrei e di altri gruppi etnici che avvenne  con una forte e significativa partecipazione di collaborazionisti locali. E ciò senza dimenticare che nel maggio del 2021, in un raduno tenutosi a Kiev si è celebrato il nazismo, chiedendo e ottenendo il riconoscimento degli Ucraini nazisti come “eroi”. Conoscere la verità, alterando leggermente il verso Dantesco, per l’uomo Occidentale rappresenta ormai una meta irraggiungibile. Ciò che lascia più sconcertati e avviliti è che a credere alle false (e chiaramente irreali) apparenze e alle frottole propagandistiche siano anche individui che hanno ricoperto, ricoprono e verosimilmente ricopriranno nella res publica importanti incarichi, oltre che di direzione, anche di governo.

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